Speculatori nel foro: mercato azionario e contabilità nell’antica Roma
Quando immaginiamo il mondo romano, pensiamo a senatori, legioni e terme. Ma tra una conquista e un’orazione, c’erano anche loro: gli speculatori del foro, uomini d’affari astuti, pronti a investire in appalti, navi, costruzioni… e a vendere le loro quote a chi offriva di più.
Sì, hai capito bene: nell’antica Roma esistevano forme societarie con quote trasferibili, e sebbene non ci fosse una borsa come quella di New York o Londra, esisteva una vera vita finanziaria, fatta di investimenti, partnership e… contabilità, anche senza Excel.
📜 Le prime “S.p.A.” del mondo antico
Il tipo di società più interessante era la societas publicanorum, formata da cittadini che investivano in imprese a servizio dello Stato: riscossione delle tasse, forniture militari, costruzioni pubbliche. Ogni socio versava una parte di capitale, e in cambio riceveva una quota proporzionale agli utili.
Le quote, chiamate partes, potevano essere vendute, ereditate o cedute, creando un piccolo mercato secondario, spesso informale ma efficiente. E indovina dove avvenivano questi scambi? Nel foro romano, ovviamente. Altro che Wall Street: qui si trattava all’ombra dei templi, tra avvocati e venditori di olive.
Lo storico Plinio il Vecchio racconta che le partes dei publicani erano oggetto di speculazione attiva, e persino Cicerone vi investì parte delle sue fortune. Alcuni senatori, che ufficialmente non potevano occuparsi di affari, lo facevano tramite prestanome. Insomma, già allora… la politica e il business non erano mai troppo distanti.
🧮 Contare senza numeri
Ora, la domanda sorge spontanea: come si teneva la contabilità senza calcolatrici, senza numeri arabi, senza colonnine da sommare?
Semplice: i Romani non facevano i conti con i numeri romani. Quei segni — I, V, X, L… — servivano a scrivere e scolpire, non a calcolare.
Per fare i conti usavano invece un sistema geniale: l’abaco romano, una tavoletta con palline mobili in scanalature, una specie di calcolatrice manuale basata sul sistema decimale.
Facevano lì tutte le operazioni — addizioni, moltiplicazioni, cambi di valuta — poi trascrivevano il risultato in numeri romani, per bellezza e per legalità.
Per i registri usavano tavolette di cera (le tabulae ceratae), su cui si annotavano entrate e uscite, e poi trascrivevano tutto nei codici contabili ufficiali (codex rationum). Ogni famiglia importante aveva il suo scriba rationis, l’antenato del CFO.
🧠 Lezioni per il manager moderno
Paradossalmente, il mondo romano, privo di tecnologie digitali, ci ricorda qualcosa di essenziale:
contare non è solo sommare, ma anche capire cosa conta davvero.
- I publicani romani non investivano nel nulla, ma in attività concrete, come i pedaggi, le forniture, le navi: economia reale.
- La separazione tra proprietà e gestione (i soci e i procuratori) anticipa quella delle moderne aziende.
- L’uso di strumenti fisici per i calcoli ci ricorda che la mente conta più dello strumento.
In un’epoca in cui molti manager delegano tutto al foglio Excel e alla BI dashboard, forse dovremmo chiederci: sappiamo ancora ragionare sui numeri, o ci limitiamo a leggerli?
🏛️ Ultima nota… ironica, ma non troppo
Roma non aveva la Borsa, ma aveva i lupi. E i lupi più temibili non erano sul Palatino, ma nel foro, tra le bancae dei cambiavalute e gli speculatori dei publicani.
Oggi li chiameremmo trader, venture capitalist, o magari fondatori seriali.
Ma loro, semplicemente, facevano affari alla romana!
by Brunus